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I Fiori di Campo del Wyoming Libro 1

AMORE A PRIMA VISTA

Uno sguardo, un amore appassionato…e poi si separano…per sempre?

Prima che la serie I Fiori di Campo del Wyoming cominciasse, c’era un’altra storia d’amore che era sbocciata, quella su cui si baseranno tutte quelle che verranno dopo. L’amore improvviso tra un cowboy e una donna. Un amore a prima vista…

I mondi di Ed Currick e Donna Robert non potrebbero essere più diversi – un rancher del Wyoming e una stella nascente di Brodway, attrice teatrale impegnata in un tour nazionale. Un incontro casuale fa nascere in loro desiderio e…molto di più. Ma sarà inevitabile ritrovarsi con il cuore spezzato quando in pochi giorni i loro sogni li divideranno?

“Divertente, entusiasmante e pieno di sorprese”…”Riscalda il cuore”… “Pura gioia”…”Una meravigliosa storia d’amore”

Excerpt:

CAPITOLO UNO

Denver—trentacinque anni prima

Mercoledì

“Forza, forza, affrettiamoci! A nessuno importa se il nostro autobus ha avuto un guasto. Vogliono solo che arriviamo puntuali sul palco!”

“Giuro, se dice che lo spettacolo deve continuare, gli dò un cazzotto.”

Donna Roberts rise per la battuta della sua compagna di stanza. Lydia non sopportava il direttore della compagnia. Per Lydia, come per la maggiorparte della produzione del tour nazionale di “Sweet Charity,” i momenti migliori erano solo quelli in cui si recitava.

Lydia fece una smorfia. Non sopportava nemmeno il fatto che Donna ridesse. “Non dirmi che riesci ancora a ridere.”

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I due giorni e mezzo passati dalla chiusura del tour a Omaha erano stati duri. Ma per Donna erano anche stati una ventata d’aria fresca e di vita vera. Non che far parte di una compagnia nazionale che faceva tour in giro per il paese non fosse gratificante. Le settimane di prove a New York erano state fantastiche. Imparare le canzoni e la coreografia l’aveva fatta camminare tra le nuovole, metaforicamente. Letteralmente, i suoi piedi le avevano fatto tantissimo male. Di fatti, i mesi passati in pista aveva lasciato il segno. Questo era normale.

“Forza, forza” Brad urlò di nuovo. “Portate le vostre cose nei camerini, prendete quello che vi serve, e tornate tra venti minuti.”

“Torneremo se ci riusciremo” sussurrò Lydia.

Le persone che erano sull’autobus avrebbero dovuto essere lì ore prima per prepararsi per lo spettacolo. Avevano trascinato le valigie nell’atrio mandando tutti in confusione.

Donna si tolse il cappotto e lo appese al vecchio gancio che c’era nell’atrio, non avrebbe assolutamente rischiato di lasciarlo sulla pila di valigie sporche e putride. Passò su una valigia, fece scivolare il suo piede in un piccolo spazio libero, e si allungò verso una parte di colore blu che poteva essere…

“Ci siamo quasi, tutti tranne Charity…”

“Certo, Miss Star della TV a cui tutto è permesso” disse Lydia a Donna.

“ …correte prima che si apra il sipario. Correte e basta!” urlò Brad. “Venti minuti! Non un secondo di più. Andate, andate, andate!”

Donna appoggiò il peso sulla gamba che aveva davanti. Si appoggiò con il gomito su una valigia che aveva qualcosa di protuberante, e …sì, era la sua valigia. Se fosse riuscita a spostare quel borsone, su cui era la sua valigia, e la borsa appoggiata sopra…

Si immobilizzò, avvertendo la sensazione di essere osservata, pur non essendo sul palco o una star. Eppure, dai giorni della scuola superiore fino al college, le stava accadendo qualcosa che conosceva bene. Questo la infiammò dal torace al braccio, mentre le sue dita diventavano fredde, sentì le farfalle nello stomaco, e il suo cuore battè nel modo giusto. Tuttavia questa volta era diverso…

Sì, era diverso. Tutto sembrava più caldo, più leggero, più giusto, lontano.

Lentamente, sollevò la testa.

Un uomo alto con le spalle possenti se ne stava in piedi ai margini di quel disordine che la compagnia aveva creato. Indossava una camicia a righe blu infilata nei jeans e un cappello da cowboy marrone scuro. Non aveva mai visto un cappello stare così bene indosso a una persona, compresi John Wayne e Steve McQueen.

Non era l’uomo più bello che avesse mai visto. Era in quel mondo da un anno e mezzo, e aveva visto un bel numero di bei ragazzi. Ma nonostante tutto, lui non era uno di quelli. Assolutamente.

Attraente, sicuramente. Seducente, oh sì. E anche qualcos’altro… Era vero. Vero.

Lui ricambiò il suo sguardo in modo fermo, quasi solenne.

Nel profondo dei suoi occhi vide brillare una luce, che non riuscì a decifrare. Mentre cercava di capire – Donna tratteneva il fiato.

Il suono la fece rinsavire, e lei distolse lo sguardo.

Che cosa le era preso? Lui probabilmente non la stava nemmeno guardando. Più probabilmente, aveva colto lo sguardo rivolto verso qualcun’altro. Molte delle ragazze erano strepitose – erano di sicuro più alte, con gambe lunghissime, mentre Donna era solo normale.

Forse stava guardando Lydia o Raeanne o MaryBeth o Nora. Sperava che non fosse Nora.

Guardò di nuovo quell’uomo.

Stava guardando lei.

Solo lei.

Il suo cuore battè come un tamburo.

“Andiamo! Andiamo! Forza, Roberts. Stai dormendo lì?”

Donna sobbalzò, quasi perdendo l’equilibrio. “La mia borsa. É sul fondo…”

Prima che lei finisse di parlare, quell’uomo alto si avvicinò, spostò zaini e valigie con facilità, e sfilò via la sua borsa, passandogliela come se non pesasse affatto.

Guardò quegli occhi grigi che brillavano con una scintilla che…

“Roberts!” urlò Brad.

Afferrò i manici della sua borsa, e se la mise a tracolla mentre ripercorreva il percorso tra le valigie. Alla fine, si voltò. Quel giovane uomo se ne stava lì dove lo aveva lasciato, e la guardava.

“Grazie.”

“Benvenuta” disse lui con un sorriso. E la guardò in un modo che la fece tremare.

“Donna! Non aspetteremo con quest’ascensore se non vieni subito!” urlò Lydia.

“Grazie mille!” disse lei, afferrando il suo cappotto e correndo verso l’ascensore.

*

Ed Currick rimase dov’era, a guardare la porta chiusa dell’ascensore fino a quando non fu costretto a chiudere gli occhi per esigenze fisiologiche.

Nella sua vita era stato disarcionato da cavallo, da tori, e anche dal trattore. Ma niente gli aveva tolto il respiro come aveva fatto lei.

Arrivando da fuori, aveva scoperto che la dignitosa anche se affollata atmosfera del Rockton Hotel che aveva lasciato quella mattina si era trasformata in un posto rumoroso, piena di energia, e disorganizzato.

Aveva dato un’occhiata alla folla da cui proveniva quel frastuono, e lei era lì. E stava ridendo.

Le facce intorno a lei erano solo ombre variegate, irritabili, tormentate, appena accennate.

Lei stava ridendo.

Era la più bassa in un gruppo di giovani donne, tuttavia aveva catturato tutta la sua attenzione. Poi si era tolta il cappotto, rivelando forme ben proporzionate alla sua figura, e ondeggiando nella montagna di valigie come se fosse l’avventura di una vita.

A quel punto lui era diventato curioso.

Poi lei aveva sollevato lo sguardo e i loro occhi si erano incontrati…

Era stato come se tutti i cavali, i tori, e i trattori su cui era stato si fossero messi insieme e l’avessero buttato giù all’improvviso. Come se lui fosse atterrato, senza più aria nei polmoni, mentre qualcosa di più forte e più caldo si fosse messo su di lui fino a fargli quasi mancare l’aria mentre lui guardava il sole che splendeva.

“Stai bene, ragazzo?”

Si guardò intorno, realizzando solo in quel momento che era rimasto in piedi a fissare le porte chiuse dell’ascensore per chissà quanto tempo.

Una donna piccola, che poteva essere sua nonna, se ne stava accanto a lui, rannicchiata nel suo cappotto pronta ad uscire fuori.

“Signora.” Si toccò la punta del capello. “Sto bene, signora.”

“Sembra che lei abbia visto un fantasma.”

“No, signora.” E quello che aveva visto non aveva intenzione di dirlo ad anima viva. Mai.

Il suo sguardo tornò sulla porta dell’ascensore, poi di nuovo su di lui. “Oh” fu tutto quello che lei disse prima di uscire.

Trattenne il respiro, e il suo torace ne risentì all’istante, quasi come se fosse caduto da un cavallo, da un toro, dal trattore.

Non che un po’ di dolore gli importasse in fondo.

Dopo tutte le cadute che aveva avuto, non solo si era rialzato dal suolo, ma alla fine aveva domato la bestia o la macchina che stava guidando. Il più delle volte dopo molto duro lavoro e costole incrinate per via della caduta, ce l’aveva fatta.

Aveva appena fatto la stessa cosa con lei.

Sentì le labbra piegarsi in una smorfia. Beh, non proprio la stessa cosa. Questo avrebbe richiesto strumenti che lui non usava nella vita di ogni giorno. Infatti, tutte le sensazioni che aveva e che riguardavano i cavalli, i tori e i trattori, non sarebbero servite a niente con lei.

Lei.

Non aveva nemmeno saputo il suo nome. E questo poteva essere un vero problema. Perchè era intenzionato a sposarla.

CAPITOLO DUE

Giovedì

“Ehi, tu. C’è qualcuno per te” Grover ruggì mentre lei si avvicinava.

L’annuncio che le fece il portiere del palcoscenico indusse Donna a fermarsi mentre si infilava il suo cappotto, pronta ad andarsene per quella sera. Stava guardando proprio dalla sua parte, quindi doveva avercela con lei. Ma le sue parole non avevano molto senso.

Forse la doppia rappresentazione di quel giorno l’aveva un po’ provata. Le sue gambe ancora la reggevano, ma la sua mente aveva cominciato a giocarle brutti scherzi. “Qualcuno?”

“Sì, e questo sa che cosa significa il rispetto. Ha tenuto la porta a Maudie come un gentiluomo.”

“Qualcuno chi?” specificò lei.

“Quegli uomini che se ne stanno vicino al palcoscenico. Ecco come li chiamo, quando sono gentile” disse Grover.

Si era chiesta se ci fosse qualcuno il giorno prima quando erano ritornati nell’atrio dell’hotel dopo il teatro… ma non c’era nessuno. Nessuno interessato.

“Che cosa stai guardando?” le aveva chiesto Lydia.

Donna aveva percorso la distanza di pochi metri dell’atrio cercando segni dell’allegria delle vacanze. Le decorazioni erano appese dappertutto.

Lydia aveva storto il naso. “Che differenza fanno le vacanze per noi. È solo un altro giorno di lavoro.”

La scorsa notte quando avevano lasciato il teatro, Donna si era guardata intorno con urgenza. Era stato sciocco. Non era il tipo da aspettarsi qualcosa.

“Mi hai confusa con un’altra delle ragazze.” Diede una pacca priva di rimprovero sul braccio di Grover. “Sono Donna Roberts.”

“Nessuno sbaglio. Donna Roberts. È quella che lui vuole.” Grover indicò con una risata appena accennata la doppia entrata.

Donna sentì le guance avvampare. Arrossire. Che stupido era stato da parte di una donna che faceva teatro, per amore del cielo. Non era proprio la ragazzina innocente che veniva dal Midwest. Non completamente.

Ma non era nemmeno disposta ad avventure passeggere, come facevano alcune delle ragazze della compagnia, quindi se ne era dimenticata appena l’autobus era partito. “Quando sai che la tua occasione sta arrivando è divertente” diceva spesso Lydia. “Fino a quando non te ne innamori. Grosso sbaglio.”

In teoria, Donna poteva comprendere il fascino della situazione. In pratica, non aveva mai avuto voglia di provare.

“Non sono interessata” disse a Grover ora.

“Oh, guarda il ragazzo” disse la voce di Maudie alle sue spalle nel corridoio stretto. Donna non aveva mai sentito l’intonazione della sua voce, forse perchè tutte quelle voci del coro coinvolte coprivano la sua. “É stato molto gentile quando mi ha aiutato con la porta. Alcuni non vedono una vecchia signora come me. Lui è un tipo gentile.”

“Ma Grover ha detto… beh, lo hai sentito.”

“Ho sentito. Questo prova solo che è un maschio. Che cosa faresti con qualcuno che non preferisce quella eventualità? Potrebbe farti un sacco di bene. Ma questo non ti verrà dietro se prima tu non vai a salutarlo. Vai da lui.”

“No. Non sono interessata. Staremo qui solo per un breve periodo.” Anche se mentre pronunciava l’ultima frase comprese la propria debolezza. Che cosa importava quanto tempo sarebbero rimasti a Denver se non era interessata?

“Non hai motivo di aver paura” disse Maudie.

“Io non ho paura…”

“Vai in quel locale all’angolo, ci saremo noi se ti sentirai a disagio.”

Oh. Quel tipo di paura.

“Solo non tornare da sola in hotel. Questa Colfax Avenue non è il posto peggiore in cui siamo stati, ma neanche il migliore. Resta dove c’è gente – è un uomo che sa come gestire se stesso da quello che sembra. Perchè si fermano qui con noi, mentre possono avere il resto del teatro, non lo so.”

“Ehi” obiettò Grover. “Colfax ha più anima di qualsiasi Broadway o posto simile. E Bonfils è un bel teatro, quindi…”

“Oh, non cominciare a parlare dei teatri belli. Puoi aver fatto anche televisione, ma sono stata in più teatri di quelli che tu puoi immaginare, ragazzo.” Maudie si raddrizzò, avvantaggiandosi del fatto che Grover era compiaciuto che l’avesse chiamato ragazzo. “E non cambiare argomento e restiamo sul fatto che Donna deve incontrare quell’uomo. Ora, se ti fai da parte, lei può andare da lui.”

“Forza” la incoraggiò Grover, facendo un passo indietro e non lasciandosi coinvolgere in una discussione con Maudie. “Non voglio vedere quella faccia lunga ancora un’altra sera.”

“Un’altra sera?” Donna non capiva.

Maudie la guardò. “Proprio così, è la seconda sera che è qui. Va da lui.”

“Sì” le fece eco Grover, “non renderlo triste e…”

“Bene.” Donna si avvolse il cappotto intorno al corpo, incrociando le braccia davanti a sè. Aveva bisogno di cucire bottoni su quella stoffa favolosa, e lo avrebbe fatto, appena avesse trovato quelli giusti. “Solo così potete smetterla voi due di andare avanti in questo modo.”

Li superò, brontolando per quel povero ragazzo e per la gente insistente mentre apriva la porta del palcoscenico con enfasi.

Ci voleva un po’ per aprire la pesante porta, lo aveva imparato il giorno prima, dal momento che Grover raramente la apriva lui stesso. Ma in quel momento, non ci fu resistenza, perchè qualcuno la stava aprendo dall’esterno con molta più forza di quanto potesse fare lei.

L’apertura della porta la sorprese, e la fece indietreggiare, quando vide Angela Ford, “Sweet Charity” e la star della sua compagnia, tutta splendente, che si portava dietro un’ondata di aria fredda di neve.

“Grazie infinite, caro” disse Angela con la voce gelida che usava per la rappresentazione di Charity. Sorrise al giovane uomo che aveva aperto la porta per lei all’esterno.

A Donna non dispiaceva il fatto che l’avesse chiamata caro, anche se lo aveva fatto in modo intenzionale. Angela chiamava tutti caro, senza preoccuparsi di fingere di ricordare i loro nomi. Caro funzionava anche sul palcoscenico quando dimenticava i nomi dei protagonisti.

“Accetterò il suo invito. Quando ritorno…”

“Grazie, signora, ma…”

Donna vide la bocca del ragazzo che apriva la porta sotto la tesa del suo cappello abbassato per una frazione di secondo – il suo cuore battè forte – prima che lui sollevasse lo sguardo. I suoi occhi incontrarono quelli di lei. Il suo cuore battè così forte da farle sentire le ginocchia molli.

Lui.

L’uomo che era nell’atrio dell’hotel.

“…sono qui per vedere Miss Roberts.”

Le allungò una mano grande, indurita dal lavoro, perfettamente pulita.

Donna sapeva che se Angela non le avesse detto quelle cose prima lei non avrebbe aprezzato quel signora. E lei avrebbe apprezzato davvero chiunque, meno che mai un uomo attraente, la cui attenzione era rivolta a Donna invece che a lei.

“Che dolce” disse Angela, andandosene via. “Maudie! Maudie, ho bisogno di te!”

Donna a stento la notò. Con l’uomo dell’atrio dell’hotel che la stava guardando con la stessa inquientante luce negli occhi del giorno prima, cercò di concentrarsi e dargli la mano sembrando calma. La sua mano si chiuse intorno a quella di Donna con una gentilezza che le fece capire che sapeva usare la sua forza nel momento giusto.

Il suo cuore battè di nuovo all’impazzata, e la mano di lui si strinse come se anche lui avvertisse la stessa sensazione.

“Posso portarla a cena, Miss Robert?” Un sorriso illuminò quella formalità.

“Nel locale dietro l’angolo” disse Maudie alle spalle di Donna.

Angela non amava che Maudie stesse ignorando le sue richieste.

“Sì, signora” disse lui.

Donna avvertì una strana sensazione per la reazione di Angela come se sapesse che lui aveva messo lei e Maudie nella stessa categoria di signora.

“Come si chiama, giovanotto?” chiese Maudie.

“Ed Currick, dello Slash-C Ranch in Knighton, Wyoming, signora.” Usò la sua mano libera per toccarsi la punta del cappello e far cenno a Maudie.

“Bene, attento a comportarti bene, Ed Currick dello Slash-C Ranch in Knighton, Wyoming.” L’affermazione di Maudie fu accompagnata da una pacca sulla spalla di Donna che la spinse verso di lui, e poi chiuse la porta alle proprie spalle.

Rimasero sotto la luce di sicurezza. Lui – Ed Currick—era così tanto più alto che lei doveva tirare indietro la testa per riuscire a guardarlo in faccia, e questo non andava bene perchè la luce che ricadeva su di lui dal suo cappello di cowboy gettava un’ombra sul suo viso.

“Sei un cowboy?”

“Si potrebbe dire così. Sono un rancher, Donna.”

Qualcosa nel modo in cui lui pronunciò il suo nome la rese consapevole del fatto che lui la teneva ancora per mano. Si liberò, stringendosi ancora di più nel suo cappotto.

“Giusto. Hai parlato di un ranch. Se non hai mangiato, forse non ti va di andare in quel locale. Servono per lo più sandwhich.”

“Alla tua amica dispiacerà se non andiamo lì.”

Sorrise. “Maudie è un’istituzione della compagnia, ma non deve decidere dove noi dobbiamo mangiare.”

“Alla tua amica dispiacerà se non andiamo lì” ripeté lui. Sembrava andar bene per lui.

E lei pensò che avesse ragione. Maudie si sarebbe preoccupata. “Un sandwhich va bene per me, ma immagino che per te ci voglia qualcosa di più.”

“Andrà bene.” Fece un passo indietro, invitandola a superarlo, poi si voltò per raggiungerla.

Camminarono in silenzio fino a dove quel viale lungo l’edificio si intersecava con il marciapiede del teatro. Sapeva che lui stava procedendo lentamente per non metterle fretta. Ad alcuni uomini non importava. Alcuni uomini procedevano e basta. Lui aveva semplicemente rallentato il passo per consentirle di non allungarlo.

“Grover e Maudie hanno detto che tu eri qui ieri sera.”

“Sì.”

“Hai visto lo spettacolo?”

“Sì.”

“Entrambe le sere?” svoltò l’angolo del marciapiede e quasi sbattè contro un lampione quando un’ondata di vento la colpì in faccia.

“Sì.”

Sollevò gli occhì, rabbrividendo per il freddo. “Non sei venuto nel backstage ieri sera?”

“Sono venuto.”

“Ma…” Il suo primo pensiero fu la sensazione di guardarsi intorno quando se ne erano andati la scorsa notte. Lui era là. Questo voleva dire… No. Non voleva dire niente.

“Sei uscita con altre due ragazze” disse lui, “stavate parlando del fatto che eravate stanche e che sareste tornate di corsa in albergo a fare un bagno caldo e a dormire tutta la notte prima di fare i due spettacoli di oggi.”

“Oh.”

La bocca si piegò in un sorriso. “Un uomo intelligente sa che non può competere con questo.”

Il vento era diminuito, e questo le consentì di guardarlo senza lacrimare. “Sei un uomo intelligente, Ed Currick?”

“Abbastanza intelligente.”

Sorrise per quell’ammissione di umiltà.

Raggiunsero il locale. Lui si spostò in avanti per aprire la porta.

“Due sere di fila? Ti deve piacere il musical a teatro.”

“Non posso dirlo. Non ho prestato molta attenzione. Sono venuto per vedere te.”

Si salvò per via del bisogno di entrare nel piccolo ristorante, trovare un tavolo e prendere posto. Alcuni colleghi della compagnia la salutarono da un tavolo, sollevando le sopracciglia in direzione del suo compagno.

Lei li ignorò, sistemando il suo cappotto sulla sedia. Lui si offrì di sistemarglielo sull’appendiabiti ma a lei piaceva averlo vicino. Non si aspettava che qualcuno lo portasse via, ma le sarebbe dispiaciuto tantissimo se fosse accaduto e non voleva correre alcun rischio. Poi si concentrò sul menu. Non richiese molto tempo.

Infine, Donna fece un piccolo sorriso a Ed Currick di Knighton, Wyoming. Che cosa stava facendo lì con lui? Non solo erano nel locale in cui Lydia passava le sue sere, mentre lei era un tipo più sedentario – se questo significava quello che lei pensava significasse – ma che cosa avevano in comune? Di che cosa avrebbero parlato?

Ed la guardò di rimando. Quegli occhi grigi e fermi avevano un cerchio scuro verso l’esterno, e le ciglia erano lunghe e folte, ma non toglievano alcuna mascolinità a quel viso ben delineato.

Ed si tolse il suo cappello da cowboy, e Donna vide un segno sui suoi capelli neri e spessi. Ed si passò la mano tra i capelli per eliminarlo, naturalmente.

Si sentì invadere dal calore.

Oh, Signore, i suoi ormoni non stavano pensando a quello che doveva dire.

“Quindi sei o non sei un cowboy?” non si trattenne dal chiedere. Strano. Era sempre così brava con le persone.

Lui è un uomo, non è le persone, disse una voce nella sua testa.

Senza dubbio, certamente un uomo.

“Stare in un ranch richiede di fare il cowboy a volte.”

“Che cos’altro richiede?”

“Un po’ di tutto.” Alle persone che non prestavano attenzione, che non lo guardavano negli occhi sarebbe potuto sfuggire lo humour delle sue parole.

“Questo non mi dice niente…”

L’unica cameriera, che si affrettava dopo l’arrivo dei membri della compagnia teatrale, venne da loro. Lui ordinò due sandwhich al manzo, un’insalata, patatine fritte e un frullato, un sandwhich e una zuppa per lei.

“É sempre così?” le chiese lui quando la cameriera andò via.

“Così come?”

Ed fece segno al tavolo dietro di lui.

“Più o meno. Come quando una famiglia con un sacco di parenti si ritrova tutta insieme.” Fu attenta a non guardare nessuno degli occupanti del tavolo. Specialmente Lydia o Henri.

“E ieri pomeriggio all’hotel?”

“Non proprio così male.” Sorrise. Poi fece una scoperta che le tolse il respiro e fece battere il suo cuore come se avesse ballato per ore.

Quegli occhi grigi e fermi potevano ardere.

Aveva pensato che fosse stato solo un caso quella luce negli occhi che aveva visto nell’atrio dell’hotel. Sentì dentro di lei quel calore, qualcosa che non aveva mai conosciuto. Quegli occhi potevano ardere… e potevano infiammare.

Cercò di prendere aria, ma le sembrò che le arrivasse solo altro calore dai suoi occhi. E lo sentiva dentro sè, così come intorno a sè. Sarebbe andata in fiamme se non avesse… se non avesse…

“Stanno scaricando la tensione. Abbiamo avuto una settimana impegnativa” si affrettò a dire. “Abbiamo finito a Omaha domenica notte. Viaggiare il lunedì è normale, ma invece che avere il martedì libero, siamo dovuti andare sul palco per l’ultima sera e per due giorni di seguito. Una scaletta piuttosto impegnativa anche se alla fine tutto è andato bene.”

“Ma qualcosa è andato storto.”

“Esatto. Per prima cosa, c’erano lavori sulla strada. Brad si è arrabbiato con l’autista e lui ha cercato di fare la deviazione della deviazione. Poi il nostro autobus si è rotto. Di solito abbiamo anche il furgone che viaggia con noi, ma data la scaletta ferrea che avevamo è partito domenica notte con tutto quello che la compagnia è riuscita a metterci dentro per cominciare a sistemare tutto prima del nostro arrivo. Quindi eravamo soli. Era tardo pomeriggio quando è arrivato qualcuno ad aiutarci. Abbiamo tutti indossato un sacco di vestiti per il freddo. Il meccanico ha detto che non poteva riparare l’autobus per portarci in tempo lì. Hanno mandato un altro autobus, ma nel frattempo eravamo tutti lì – beh, non chi era partito prima, il direttore o il capo, perchè guidavano le loro auto, ma l’orchestra, il resto della compagnia e altri, siamo stati infilati in questo piccolo autobus, divorando qualsiasi cosa presa ai distributori, perchè non avevamo pranzato nè cenato. Poi è successo qualcosa di sorprendente.”

La stava ancora guardando intensamente, ma la fiamma nei suoi occhi si era affievolita. Addolcita. Non proprio inquietante – no, non inquietante. Non era inquieta. Era solo cauta.

“Che cosa è stato sorprendente?”

Donna chiuse gli occhi e li riaprì, all’improvviso consapevole che lo stava guardando negli occhi da tempo. E che lui aveva ricambiato il suo sguardo per tutto il tempo.

“La gente” deglutì, si schiarì la gola e cominciò di nuovo a parlare. “La gente ha cominciato a venire, un insieme di furgoni. Ci hanno caricato, e portato in chiesa. Era buio e faceva freddo e eravamo così affamati, ma questa chiesa era tutta illuminata, e quando siamo entrati dentro…” Chiuse gli occhi, inspirando al ricordo di quei profumi e di quei suoni. “ …è stato come essere a casa per il giorno del Ringraziamento, avere tutti quei profumi deliziosi e il suono delle voci che ci accoglievano. Oh, mi manca tutto questo.”

Era stata dura la scorsa settimana. Le erano mancati i suoi cibi preferiti, la sua famiglia di più, le era mancato essere dove sapeva di essere amata. Ma doveva aspettarselo. Questo significava essere una professionista. Faceva parte del gioco dover rinunciare a qualcosa.

“Non sei stata a casa per il giorno del Ringraziamento?”

“Quest’anno no. Sono tornata a casa per il Giorno del Ringraziamento e per Natale l’anno scorso. Potevo decidere perchè non avevo ancora un lavoro stabile” disse in tono secco.

“Che cosa facevi quando non avevi un lavoro stabile?”

“Continuare a cercare di avere un lavoro stabile. Ho fatto delle piccolo cose, fino ad uno spettacolo a Browdway lo scorso inverno. Durato poco, purtroppo. Di solito facevo provini, seguivo lezioni e lavoravo come cameriera così non dovevo supplicare i miei genitori—non che non mi avrebbero aiutato. Ci hanno sempre incoraggiato a inseguire i nostri sogni. È solo che si preoccupano. Sai, New York, il teatro.”

“Ecco.” La cameriera poggiò il piatto con i due grandi sandwhich davanti a lei. Ed invertì velocemente i piatti.

“Quindi la gente vi ha portato in chiesa perchè si era sparsa la voce che c’era un gruppo di persone che aveva bisogno di aiuto” disse lui.

“Come lo sai?”

Ed fece spallucce.

“Beh, hai ragione. La gente ha portato coperte, cappotti, sacchi a pelo in modo che potessimo star comodi e dormire in chiesa. Ma per prima cosa…”

“Per prima cosa hai mangiato.” I suoi occhi sembrarono divertiti.

“Ora, come fai a saperlo?”

“Le persone da queste parti sono fatte così.”

“Oh.” Quindi la sua città—Knighton?—era come la gente della chiesa? Non riusciva a pensare a niente di più diverso da New York City. Però, forse, non molto diverso anche dall’Indiana. “Beh, hai ragione. Abbiamo mangiato. Un cibo talmente buono. Anche chi non smetteva di lamentarsi ha svuotato più piatti. E i biscotti? Deliziosi. Avevano già i biscotti di Natale. Quali sono i tuoi biscotti di Natale preferiti?”

“Quelli con le gocce di cioccolato.”

Lei fece una smorfia. “Quelli sono per tutti i giorni. Devi avere dei biscotti di Natale speciali.”

“Natale è un giorno come gli altri. Quelli con le gocce di cioccolato” insistette lui.

“Bene. Quindi, a parte quelli con le gocce di cioccolato, quale altro tipo?”

“Quelle barrette al cioccolato che hanno un po’ di crosta e noccioline.”

“Sembrano buoni. Come li chiamate?”

“Quelle barrette al cioccolato con un po’ di crosta… oh.” Quando il suo sguardo si posò sul suo braccio sembrò lasciare un segno… anche se le sembrò di sentire un tocco. “Okay, mia madre li chiama toffee bars. Quali sono i tuoi preferiti?”

“I biscotti che hanno varie forme. E quelli al burro che facciamo in tre forme diverse con uno stampo e che poi decoriamo.”

“Probabilemente ne ho mangiato qualcuno di quelli” disse ripensandoci.

“Ne avresti mangiato più di qualcuno di quelli che erano in chiesa. Li abbiamo ripagati nel modo in cui potevamo farlo, cioè cantando durante la cena.”

Ed sorrise e Donna per un istante ebbe la visione di due immagini che si mischiavano. Come se vedesse una doppia immagine, da una parte quella di un bambino e dall’altra quella di un uomo più grande con capelli striati di grigio. Entrambi avevano lo stesso mento, come se fossero parenti. E… sì, una terza immagine, un’altra immagine, quella dell’uomo davanti a lei. E era stato il suo mento che aveva visto. Il suo mento uguale a quello del bambino e dell’altro uomo. Voleva abbracciarli tutti, perchè vederli rendeva il suo cuore…

“Stai bene, Donna?” La sua voce bassa le arrivò da lontano, poi sentì una sorta di scossa elettrica che partiva dalla sua mano. Sobbalzò. “Mi dispiace. Non volevo spaventarti.”

Donna guardò prima la mano di Ed che copriva la sua sul tavolo e poi i suoi occhi che non sorridevano più. Era senza dubbio il viso che aveva visto. Come era adesso, ma anche come quello del bambino e dell’uomo più anziano. Che strano. Era molto strano.

“Donna?”

“Sto bene. Davvero. Io…” Tolse la sua mano da quella di lui, prendendo il suo sandwhich. “Che cosa stavo dicendo?”

“Che avete cantato durante la cena.”

“Giusto” disse con un cenno di assenso. “Abbiamo cominciato a cantare i pezzi dello spettacolo – quelli adatti a una chiesa. Io ho fatto Charity, dato che ero la sostituta. E hanno applaudito e fatto i complimenti, e qualcuno ha cantato con me. È stato come essere di nuovo innamorata della danza e del canto.”

“E della recitazione?”

“Questo è arrivato dopo, a mettere tutto insieme. Mio padre diceva che sono nata danzando e cantando. Mia madre lavorava tanto con le sue lezioni e le rappresentazioni e le recite.” In modo impulsivo, lei mise la sua mano sul suo braccio. “Hai qualcosa che ti appassiona tanto?”

“Lo Slash-C. Quella C sta per Currick. È della famiglia da generazioni. È… casa.”

Le mancò il respiro per il modo in cui disse l’ultima parola.

Doveva essersene accorto anche lui, perchè cambiò argomento. “Quindi hai cantato le canzoni dello spettacolo per le persone in chiesa.”

“E poi ci siamo messi tutti a cantare le canzoni di Natale mentre mettevamo in ordine. Siamo stati sulla porta a cantare “Silent Night” mentre gli altri se ne andavano, e ha cominciato a nevicare. È stato… magico. La migliore esperienza da…”

All’improvviso si rese conto che si stavano tenendo per mano sul tavolo. Liberò la sua mano per prendere il tovagliolo, raccontandogli che l’autobus è arrivato solo il martedì nel tardo pomeriggio.

Avevano viaggiato durante la notte e poi la mattina di mercoledì, mentre mancavano poche ore allo spettacolo di quella sera. La corsa, con così poco tempo e il nuovo teatro, la stanchezza. E poi i due spettacoli di quel giorno. “I giorni più complicati di tutto il tour” concluse.

Le fece altre domande sulla sua vita a New York, e lei rispose prontamente. Quando le chiese dove era stato il tour, lei elencò una scaletta che sembrava quella di un autobus della Greyhound, terminando con “…poi Omaha, e poi qui. La prima volta che ho visto le Montagne Rocciose, anche se a una certa distanza.”

“Un nuovo teatro ogni settimana?”

“Qualche volta. Qualche volta di più, qualche volta di meno. Dai, raccontami del tuo ranch” gli disse. Non proprio una transizione facile da un argomento all’altro, ma ci fu una piega tra le sue sopracciglia e lei voleva cambiare argomento per vedere se sarebbe andata via.

“Il ranch è nello stesso posto ogni giorno” disse lui. Pensò ci fosse più del suo acuto humour ma non era sicura perchè lui si stava guardando intorno e non la guardava negli occhi.

Le ultime persone del gruppo della compagnia si alzarono, parlando e urlando e salutandola.

“Signora? Possiamo avere il conto, per favore?” Ed chiese alla cameriera. Poi si rivolse a Donna, “Sei pronta?”

Lei guardò il suo piatto, ricordando a stento quello che aveva mangiato, e tuttavia provò un improvviso, strano senso di vuoto. “Suppongo di sì.”

“Seguiremo i tuoi amici, così non avrai la sensazione che stai camminando da sola con uno sconosciuto” le disse mentre pagava.

Il senso di vuoto scomparve. Non si stava affrettando per nessuna ragione se non per un po’ di considerazione per lei.

Si alzò e le tese il cappotto.

Fu una cortesia che lei apprezzò molto. Non perchè lei non era una donna capace e indipendente, ma perchè mettersi un cappotto poteva essere strano se era piuttosto pesante. Anche le donne avrebbero dovuto aiutare gli uomini a farlo.

Lei fece scivolare un braccio dentro, tenendosi le maniche del maglione in modo che non si arrotolassero.

Fu allora che sentì il calore del suo torace dietro di lei. Non si toccavano, ma era così consapevole che Ed fosse lì. Lui ancora reggeva il suo cappotto mentre Donna infilava la seconda manica e a quel punto sembrò che Ed fosse il suo partner e lei la ballerina in posizione. Solo che la delicatezza di un ballerino era difficile da immaginare. Il suo calore era solido, la circondava, la tentava.

Mancò il buco della manica.

“Mi dispiace” sussurrò lui, il suo respiro tanto vicino a Donna, che aggiunse un brivido al calore che si era trasferito dal corpo di Ed al suo.

“É colpa mia.” Si mordicchiò le labbra cercando di concentrarsi e infilare la manica. Si affrettò a dire qualcosa. “Adoro questo cappotto, ma ha maniche davvero strette. Il prezzo che paghi per l’alta moda.”

Ce l’aveva fatta. Il suo braccio era entrato nella manica.

“É caldo?”

Con entrambe le braccia nel cappotto, continuò a muoversi intuendo che in qualche modo avrebbe allontanato la sensazione di essere immersa nel suo calore.

Ma lui non lasciò andare il cappotto, era ancora legato a lei e quella sensazione tornò a galla prepotente. Tanto chiara, calda e diretta come prima.

Calore? Oh, sì, molto calore.

Le mancò l’aria, poi parlò in fretta.

“Il calore non è importante. Ho avuto una grande fortuna a trovare questo cappotto al negozio dell’usato di New York – ad un prezzo stracciato. Ovviamente ha bisogno di una cintura in vita per creare l’effetto di un cappotto da agente 007.”

“É rosso” disse lui, una mano sulla schiena di lei. “Rosso chiaro.”

“Mi piace molto il colore. Risolleva il mio umore, qualsiasi cosa sia accaduta.”

Ed la superò per aprirle la porta. “Non riesco a immaginare una spia vestita di rosso.”

Sorrise. “Forse non una spia ordinaria. Ma James Bond non si preoccupava di mimetizzarsi, perchè dovrei farlo io?”

“Non riusciresti mai a mimetizzarti.”

Il suono profondo della sua voce ebbe uno strano effetto su di lei, minacciando la sua stabilità. Una folata di vento che arrivava da chissà dove la colpì e fece sollevare un angolo del suo cappotto, che strisciò contro le sue gambe.

“Ti congelerai. Dovresti abbottonarti.”

“Non posso. Non ci sono bottoni.”

Lui aggrottò la fronte. “Gli stilisti fanno cappotti senza bottoni?”

“Certo, alcuni lo fanno. Ma in questo caso, qualcuno deve averli scuciti. Quindi, fino a quando non trovo i bottoni, faccio così…” Mise un lembo del cappotto sull’altro e si abbracciò.

“Hai bisogno di un cappotto caldo. Sei a Denver, non ad Atlanta.” Quella era stata una delle tappe del tour che aveva menzionato. Ovviamente erano stati lì durante il periodo caldo.

“Solo per…” Non lo sapeva esattamente. “…pochi giorni.”

“Giorni? Puoi congelare in poche ore.”

“Non sto per congelare. Guarda come è bello adesso.” Il vento gelido era scomparso e la notte era calma e frizzante. C’era abbastanza gente per strada da non dare la sensazione di essere isolati. Le decorazioni abbellivano le vetrine di negozi e attività commerciali.

“Potrebbe cominciare a fare freddo molto velocemente. È quasi dicembre, e…” Ed indicò il poster di una famiglia tutta vestita di rosso in una vetrina non lontano da loro. “…c’è una ragione per cui Babbo Natale indossa la pelliccia.”

Donna ridacchiò. “Immagino che a lui non interessi lo stile, e a me sì. Allora, che cosa ti ha portato a Denver?”

Ed sollevò le sopracciglia. “Sai, persino un mandriano, una di quelle persone che danno pacche sulle mucche, si accorgerebbe che vuoi cambiare argomento.”

“Lo so, anche se non capisco il motivo per cui uno dovrebbe dare pacche sulle mucche.”

“Per farle muovere. Anche se il mandriano fa qualcos’altro. Non posso dire di aver mai visto nessuno dare una pacca a una mucca, anche se penso che Alex Karras lo abbia fatto con un cavallo in ‘Mezzogiorno e mezzo di fuoco.’ ”

“Hai visto quel film?”

“Sì, signora. I film sono arrivati in Wyoming un po’ di tempo fa.”

“Non intendevo…” Cominciò a scusarsi perchè non voleva che pensasse che lo considerasse arretrato. Poi vide il divertimento nei suoi occhi. “Okay, me lo merito. Ora, torniamo al motivo che ti ha portato a Denver.”

“Cambi argomento rispetto al fatto che non hai un cappotto caldo?”

“Prima” ammise, e lui ridacchiò, “ma ora voglio saperlo. Che cosa ti ha portato qui?”

“Scorte.”

Davvero? Ma è inverno.”

Ed sorrise. “Non il tuo tipo di scorte. Il mio – il bestiame.”

Sorrise. E lo scoprì a guardarla con calore, approvazione, apprezzamento, e qualcos’altro. Ebbe la sensazione che lui fosse più incline a sorridere che a ridere, tuttavia si stava godendo la sua risata proprio come stava facendo lei.

“Come sei egocentrico, a pensare che le scorte siano quelle estive del teatro e come sei snob a sorprenderti che possano esserci qui. Specialmente dal momento che sono cresciuta in Indiana, non proprio un posto incline al teatro.”

“Bene, sono qui per una fiera del bestiame. Ma niente come quello che fai tu.”

“Tu sai delle scorte estive del teatro?”

“Ho visto un paio di film alla TV.”

“Ah, Judy Garland e Mickey Rooney,” disse lei.

“La mia prima fonte di informazioni sul teatro.”

“Allora non puoi biasimarmi per aver basato la conoscenza del ranch su un film come ‘Bonanza’ e ‘The Big Valley.’ ”

“Il secolo sbagliato, ma non abbiamo cambiato molto i nostri metodi di lavoro, quindi va bene.” Donna ridacchiò. Ed sorrise. “Quindi, sei dell’Indiana? Una ragazza cresciuta in una fattoria?”

Scosse la testa. “No, se consideri che me ne sono andata. Ma parlami di questa fiera del bestiame. È una grande fiera?”

“La più grande è a gennaio, ma le persone con cui voglio parlare parteciperanno a questa, quindi mi sono organizzato per venire.”

“Dicembre? Gennaio? Immagino ci siano tempi migliori per venire a Denver—a meno che tu non sia uno sciatore.”

Ed grugnì. “Più un cordaio che uno sciatore.”

“Nel ranch” disse con un cenno del capo. “Come ‘Bonanza.’ ”

“In quello e nel rodeo.”

“Rodeo? Quindi sei un cowboy?”

Ed le rivolse un’occhiata. “Hai una particolare inclinazione per i cowboy?”

C’era un sisgnificato nella sua domanda, e ci sarebbe stato un significato nella sua risposta. Non importava quale risposta avrebbe dato.

Ed incontrò i suoi occhi e lei disse, “Non lo so. Ancora.”

I suoi occhi rimasero imprigionati degli occhi ardenti di lui. Ancora, il suo tono e le sue parole furono caldi.

Questa corrrente sotterranea avrebbe potuto trascinarla verso il mare… dove le loro navi sarebbero passate, prendendo direzioni diverse, proprio come Lydia diceva sempre.

“Quindi, rodeo… Sei uno di quelli che cade da cavallo?”

“No, se posso evitarlo.” Una smorfia accompagnò le sue parole secche. “Sono abituato a fare un po’ il rodero—semplicemente mettendomi in sella. Somiglia un po’ alla lotta con un manzo. Come dice mia madre, non c’è molta differenza tra l’essere disarcionato da un buon cavallo e lottare con un manzo. Mi concentro di più sugli eventi in cui si usa la corda.”

“Tua madre” ripetè lei, ignorando i cavalli, l’essere disarcionato, o il lottare con un manzo. Tutto sembrava molto pericoloso.

Non che le madri non lo fossero.

“Sì. Lei è così. In Wyoming da tre generazioni. È cresciuta in un ranch. Ne sa più di cavalli e bestiame di qualsiasi altra persona. Mio padre dice sempre che sposarla ha significato sposare una madria. È come te.”

“Come fai a saperlo?” Una donna da ranch come la signora Currick era molto diversa da una ballerina e cantante che aspirava a Broadway, se non una vera e propria donnetta. Forse avrebbe potuto conquistarla…

Cosa? Aspetta. Come era arrivata a pensare di conquistare questa donna sconosciuta?

“Le piaceresti perchè piaci a me” disse Ed.

Guardò nel grigio profondo dei suoi occhi e quello a cui stava pensando scomparve del tutto. No, non del tutto. Si trasformò in calore. Calore che filtrò nelle sue vene e evaporò attraverso i polmoni, consumando tutto l’ossigeno. Fino a quando non annaspò per avere altra aria.

Proprio come aveva fatto lei, lui si abbassò e toccò le sue labbra.

Fu un bacio gentile, senza pretese. Sembrava cauto, non voleva soppraffarla con la sua grandezza e altezza.

Una bocca su un’altra bocca. Tutto qui.

Bene… sì, ecco cosa fu. Tutto di lei. Tutto di lui. Tutto l’universo.

Ed era l’universo, che la circondava. La sua presenza e il profumo caldo di un uomo e l’aria fredda intorno a lei, mentre inspirava e ingoiava il suo sapore e il suo odore.

Voleva fare un passo verso di lui, rifugiarsi in lui.

Voleva aprire la bocca, per assaporare quel calore che sembrava una promessa.

Voleva toccarlo, sentire sotto le dita le linee appena accennate delle rughe intorno agli occhi e alla bocca, sentire la forza di quelle spalle.

Voleva…

Voleva.

Con un sospiro che la scioccò come se non avesse più ossigeno, fece un passo indietro.

“Devo… Dovrei…” Fece un segno che indicava un passo alle sue spalle verso l’entrata dell’hotel. “Entrare.”

“Andiamo dalla stessa parte.”

“Oh. Sì. Certo.”

Ed le tenne la porta, poi la seguì dentro e verso l’ascensore, dove premette un bottone. Il battito del suo cuore era impazzito. Rimase accanto a lui. In silenzio. Incapace di dire qualcosa, di pensare qualsiasi cosa.

L’ascensore arrivò, le porte scorrevoli si aprirono, lì davanti a lei. A loro. Lui la sospinse dentro con la sua calda mano sulla schiena – una mano così calda che anche attraverso il cappotto, il maglione, e la camicia ne avvertì il contatto.

Solo quando fu dentro e si voltò verso la porta Donna comprese che lui non l’avrebbe seguita.

“Buonanotte, Donna.”

“Buonanotte, Ed.”

La porta si chiuse. La sue gambe tremarono per il movimento dell’ascensore. Ma perchè aveva gli occhi spalancati come se fosse sotto …shock? Che senso aveva quello sguardo riflesso dalla porta di metallo dell’ascensore?

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